If you have to pass... pass

Marco Tamburro rappresenta la geografia urbana. L'artista perugino erige una barriera di confine: una muraglia che è un caotico cimitero di immagini colorate, simboli e oggetti della nostra cultura. Un muro che accumula graffiti, cartelloni pubblicitari e locandine cinematografiche vintage. I residui logori e sbiaiditi del passato vengono coperti con nuove pubblicità accattivanti. Questi manifesti sovrapposti sono tracce della nostra cultura.
Il collage sperimentato da Tamburro richiama il retaggio di Mimmo Rotella. Inoltre, questa composizione multicromatica è arricchita da segni pittorici violenti, inquieti e quasi isterici. L'espressività di questi segni avvicina l'arte di Tamburro a quella di Emilio Vedova.
Ma qual è lo scopo di questa struttura?
Cosa troviamo al di là del muro: ostacoli o protezione?
Ci stanno nascondendo qualcosa?
Sulla sommità della barriera, uno scorcio ci lascia intravedere l'ignoto: un infinito abbacinante che sa di libertà e purificazione.
Sopra il muro fratturato notiamo delle figure in ombra: un giullare, Pinocchio, una donna e figure umane indefinite. Solo loro possono svelare il mistero: cosa si nasconde oltre? Forse un mondo lontano dalle logiche e dai meccanismi della nostra società capitalistica. Una nuova città-Eden dove regna la felicità.
La delimitazione, dunque, sembra essere una gabbia che rinchiude gli individui. L'obiettivo? Il pensiero unico, l'omologazione, il bombardamento mediatico. Il muro è la società che ci chiude al suo interno, e attraverso i mass media veniamo storditi da un fiume in perpetua straripanza di immagini.